mercoledì 29 aprile 2015

Montage of heck

di Rosanna Gentile

Una fotografia della mente complicata del genio Kurt, già da piccolo iperattivo e incompreso. Un entrare nella sua sfera intima e privata, dove, tra disagi, demoni e senso di scomodità, cominciava a germogliare il seme del suo rock.
Il rock come sfogo. 
Il rock come alternativa alla castrante realtà perbenista, o finta tale. 
Il rock come unico motore di un cuore accelerato dalle droghe, prese per frenare l’agitazione. 
Il rock come stanza nella quale rifugiarsi, ma senza accucciarsi. Si, perché lui, Kurt, non si accucciava nel suo cantuccio, perché solo lì dentro riusciva ad essere sé stesso  e, in quella stanza, finiva per distruggere tutto.
Un viaggio nella sua intimità, dicevo… 
Nel viaggio "Kurt" non si resta al di là della corda rossa del quadro esposto al museo. No. La sua storia ti sbatte dentro. Ti risucchia. A tratti violenta. Sei aggrappato a quel quadro oltre la corda e sai di non dover star lì. E in quelle sequenze diventi anche tu protagonista. Silenzioso, certo, ma comunque protagonista, chiamato a dare sentenza e invocare condanna. Perché (diciamolo!) quando in ballo c'è l’eroina c’è anche l’obbligo di condanna morale. 
Eppure è tanto difficile condannare quell’angelo biondo con la voce graffiante che ti  scava il cuore. Un gatto irrequieto terribilmente bello che incide gli organi, senza farti male. E' tra quei tagli che si sistema la leggenda del grunge di Cobain.