di Rosanna Gentile
Il rock come sfogo.
Il rock come alternativa alla castrante
realtà perbenista, o finta tale.
Il rock come unico motore di un cuore
accelerato dalle droghe, prese per frenare l’agitazione.
Il rock come stanza
nella quale rifugiarsi, ma senza accucciarsi. Si, perché lui, Kurt, non si
accucciava nel suo cantuccio, perché solo lì dentro riusciva ad essere sé
stesso e, in quella stanza, finiva per distruggere tutto.
Un viaggio nella sua intimità, dicevo…
Nel viaggio "Kurt" non
si resta al di là della corda rossa del quadro esposto al museo. No. La sua storia ti sbatte
dentro. Ti risucchia. A tratti violenta. Sei aggrappato a quel quadro oltre la corda e sai di non
dover star lì. E in quelle sequenze diventi anche tu protagonista. Silenzioso,
certo, ma comunque protagonista, chiamato a dare sentenza e invocare condanna.
Perché (diciamolo!) quando in ballo c'è l’eroina c’è anche l’obbligo di condanna morale.
Eppure è
tanto difficile condannare quell’angelo biondo con la voce graffiante che
ti scava il cuore. Un gatto irrequieto
terribilmente bello che incide gli organi, senza farti male. E' tra quei tagli che si sistema la leggenda del grunge di Cobain.
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