di Rosanna Gentile
Buona parte dell’articolo che seguirà è frutto
di un mio studio per una rubrica di cronaca nera locale pubblicata sul quotidiano Il Roma. Ho deciso di ridargli nuova vita, perché tra due giorni
ricorre l’anniversario della drammatica morte di Simonetta. Approfitto di
questa circostanza per abbracciare virtualmente la famiglia della piccola ed in particolare il giudice Lamberti, che all’indomani
della pubblicazione della rubrica, mi telefonò per ringraziarmi e donarmi alcuni
suoi libri che ha scritto in memoria dell’amata figlia, per esorcizzare, in
parte, il dolore e serbarne il ricordo.
Di
lì a poco scattò l’agguato ai danni del magistrato. Il piano di morte pensato
dagli aguzzini era il seguente: un’autovettura (una Bmw) con a bordo dei
complici doveva trovarsi avanti alla Bmw di Lamberti, al fine di bloccarne il
passaggio, mentre una seconda automobile (un’Audi) posta alle spalle del
magistrato, doveva materialmente uccidere la vittima designata, affiancandone
la vettura e sparando una raffica di proiettili. Così fu: erano le 15.30
quando, sulla SS 18 di Cava, il commando accerchiò l’auto del magistrato ed
esplose una serie di proiettili in direzione della Bmw sulla quale viaggiavano
Alfonso Lamberti e la figlia. Qualcosa dovette andare storto (forse il giudice
proseguiva ad una velocità sostenuta che l’Audi a diesel non riusciva a
mantenere) e un primo proiettile partì alle spalle dell’auto di Lamberti,
forandone il lunotto posteriore. Ma i killer riuscirono ad accelerare la corsa,
arrivando proprio all’altezza della fiancata. Da questa posizione, per gli
esecutori divenne tutto più semplice e nel giro di qualche secondo esplosero
altri sei colpi. Compiuto il piano, gli assassini si diedero alla fuga in
direzione Nocera. All’indomani dell’agguato in un bosco a Materdomini di Nocera
Superiore, fu rinvenuto lo scheletro di un’Audi bruciata, con ogni probabilità
quella utilizzata dai killer, i quali sapevano che a bordo dell’auto del magistrato
viaggiava anche la bambina, eppure non esitarono a sparare. Dal
raid il magistrato uscì solo ferito. I due colpi esplosi da una P38 lo ferirono
alla spalla e, solo di striscio, alla testa. Ciononostante il bilancio di
quell’attentato fu terribile, in quanto un proiettile colpì Simonetta alla
tempia. La piccola era seduta al fianco del padre, con il braccio teso fuori
dal finestrino per accarezzare il vento, dopo una spensierata e tranquilla mattinata
al mare.
Nelle
ore che seguirono l’agguato, la ragazzina venne prima portata all’ospedale di
Cava dei Tirreni e poi, vista la criticità della situazione, al Cardarelli di
Napoli. Qui fu ricoverata presso il centro di rianimazione, con un delicato
quadro clinico. Il proiettile che la raggiunse perforò la tempia sinistra,
attraversandole diametralmente la testa, uscendo dall’altra tempia. Questo
causò una grave emorragia e dei danni irreversibili al cervello. La piccola
cadde in coma profondo e, dopo disperati tentativi (tra cui trasfusioni di
sangue e un intervento chirurgico), il suo cuore smise di battere alle ore 20.
Per
conservare la memoria della piccola Simonetta, strappata alla vita e all’amore della famiglia a soli 11 anni,
sono state organizzate diverse iniziative che la ricordano come la prima della
lunga serie di baby-vittime della camorra.
Approfondimenti:
“Anni violenti”
Il
1982 è stato un anno particolarmente violento per tutta la provincia
salernitana.
Negli
anni Settanta ed Ottanta, il nostro territorio era in balia delle guerriglie
dei clan che si contendevano, a colpi di pistola e spargimenti di sangue, gli
affari sporchi, soprattutto quelli ghiotti generati dalle macerie del terribile
terremoto dell’Irpinia (1980). Decine i morti ammazzati. Si tratta di vittime
che avevano a che fare, direttamente o indirettamente, con gli ambienti
pericolosi, dove a farla da padrona era la N.C.O. di don Raffaele Cutolo, alla
quale si opponevano gruppi terroristici locali, come la “Nuova Famiglia”. A
perdere la vita, infatti, furono per di più imprenditori e costruttori
impegnati attivamente nella fase di ricostruzione post-sisma (Alfonso Rosanova,
Gennaro Schiavo, Gennaro Califano e Nicola Benigno sono solo alcune delle
vittime di questa lotta). Consultando l’elenco delle vittime della camorra, tra
i nominativi di gente uccisa, configurano anche nomi di persone totalmente innocenti. Persone
che hanno smesso di vivere per pura fatalità. Nella nostra memoria storica, l’elenco
di vittime estranee ai fatti di camorra lascia davvero senza fiato, soprattutto
se si pensa che dietro un nome ed una data c’è il racconto di una vita spezzata,
che ha smesso di esistere per puro errore. Simonetta Lamberti è una di loro e aveva
soli 11 anni.
“Il mestiere della giustizia”
Alfonso
Lamberti, all’epoca del tragico agguato, aveva 45 anni ed era procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Sala Consilina e docente di Storia del
Diritto penale presso l’Università di Salerno. In quegli anni svolgeva il suo
lavoro con determinazione e forza. Indagare per lui era una vera e propria
vocazione, ma sapeva che infilare il bastone tra le ruote ai pesci grossi della
camorra, impegnata nelle estorsioni e ad allungare le mani sulla grossa torta
della ricostruzione post terremoto dell’Irpinia, avrebbe potuto mettere la
propria vita in pericolo. Soprattutto in seguito all’esecuzione di stampo
camorristico del collega magistrato Nicola Giacumbi. Dopo l’omicidio di
Giacumbi, ad Alfonso Lamberti venne assegnata un’alfetta blindata, che però
proprio quel sabato di maggio non aveva ritenuto opportuno utilizzare.
Lamberti, infatti, nel trascorrere una mattinata al mare con la figlia, non
aveva fiutato alcun pericolo e scelse di prendere la propria automobile.
Evidentemente questo dettaglio, solo all’apparenza irrilevante, dovette essere
stato chiaro ai killer, che con ogni probabilità controllavano il magistrato. Alfonso
Lamberti nel corso dell’agguato fu ferito alla spalla sinistra e alla nuca. Fu
dunque operato, ma lasciò l’ospedale appena seppe della tragica fine della
figlia.
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