venerdì 3 maggio 2013

VENERE E MARTE: l'amore è una droga.


di Rosanna Gentile 

Sono stata a Londra. E una volta lì ho consumato le scarpe per vedere più posti possibili. La priorità assoluta in quasi tutti i miei viaggi sono i luoghi d’arte e la città della regina ne è piena. 
National Gallery,  tanto per cominciare. Si trova a Trafalgar Square e ospita più di duemila dipinti (che coprono l’arco epocale XII-XX secolo). Della sua storia, che comincia nel 1824 con l’acquisizione da parte del Governo del Regno Unito di una trentina di dipinti appartenuti ad un ricco banchiere (John J. Angerstein), mi ha da subito colpito la modernità del suo statuto, che lo incorona come primo spazio museale con ingresso gratuito e libero al pubblico.
Siamo nella prima metà dell’800 e a quei tempi non tutti potevano scegliere di passeggiare nei corridoi di un museo e godere delle preziosità in esso raccolte. Addirittura c’erano alcuni posti in cui vi si accedeva solo con colloquio atto a stabilire il grado di cultura del potenziale fruitore. Il discorso era semplice: se si possedeva una sorta di cultura si entrava, altrimenti no.
Poi qualcuno riuscì ad intravedere nelle raccolte artistiche e storiche un potente mezzo comunicativo, atto a diffondere sensibilità culturale anche agli analfabeti. Anzi, proprio in quanto tali, gli illetterati avrebbero trovato maggior stimolazione nella fruizione visiva di un quadro, piuttosto che nella tanto complessa, quanto noiosa, decifrazione di critiche scritte ad essa connessa.
La National  Gallery fu fondata sul principio di gratuità e massima fruibilità. Da allora uomini e donne di ogni estrazione sociale ed età hanno potuto ammirare squisite opere rinascimentali italiane, minuziose tele fiamminghe e molti altri dipinti che, pennellata dopo pennellata, hanno segnato i gusti stilistici nelle varie epoche.
So di non essere corretta nel sostenere ciò che sto per scrivere, ma tra le 2300 opere esposte a Trafalgar Square è una quella che ho preferito su tutte.
Si tratta di "Venere e Marte" e l'autore è Sandro Botticelli (1482-83). Una tavola rettangolare che si sviluppa in senso orizzontale in cui prendono comodamente posto la dea, che occupa gran parte del lato sinistro,  e il dio della guerra, che invece giace sul lato destro. I divini personaggi non sono soli, intorno a loro compaiono goliardici fauni.
Venere era la divinità della bellezza, capace di piegare il volere di qualsiasi essere con il languore dei suoi occhi e la lucentezza della sua pelle. Questo è quanto era capitato al furioso e incontenibile Marte. La delicatezza della femminilità della dea riuscì a placare la bruciante passione per la morte del dio delle armi. Così, di fronte a quella tavola, la mia mente volava ad immaginare un giovane Sandro Botticelli, che sceglie un tema per comunicare il suo messaggio di pace: una sorta di Love & Peace o “mettete dei fiori nei vostri cannoni” hippy.
In realtà, la maggior parte degli storici dell’arte collega quest'opera a riflessioni filosofiche sull’amore carnale (anche perché, data la sua forma, la tavola avrebbe potuto ornare la testiera di una letto a due piazze). Marte sarebbe, quindi,  nella “piccola morte” che segue l’atto sessuale consumato con Venere. Il dio dorme profondamente, senza badare alle sue armi, con le quali giocano e si intrattengono i fauni: una chiara allusione al fatto che l’amore è un sentimento disarmante. E il nesso logico dall’amore alle nozze è quasi scontato. Dunque, Sandro non era un pacifista (e il suo dipinto non era, quindi, un manifesto rivoluzionario), ma semplicemente un artista che campava di commissioni e, con ogni probabilità, questa gli è giunta dalla famiglia Vespucci (protettori di Botticelli) in occasione del matrimonio del nobile Marco.
Ma c’è anche un altro discorso legato a quest’opera. Il fauno sdraiato alle spalle del dio della guerra, ha in mano un frutto. Per l’esperto della casa d’aste Sotherby’s David Bellingham si tratterebbe dello stramonio, meglio noto come l’Erba del Diavolo, assolutamente allucinogena. 
Bhé, se questo fosse vero, se Sandro avesse realmente inserito nella composizione una pianta allucinogena, forse Marte non starebbe dormendo perché sfiancato dalla bellezza di Venere, o in quanto assuefatto dall’amore o perché ha fatto troppo sesso, ma perché ha fatto uso dello stramonio. Ovviamente l'interpretazione di Bellingham ha fatto infuriare molti amatori del mito, oltre ad aver fatto prendere le distanze ad alcuni studiosi di botanica, per i quali si tratterebbe di un piccolo melone.
Al di là di ogni chiacchiera o convenzione, credo che il bello dell’arte sia proprio nella sua vasta interpretabilità. Ognuno può leggere in un quadro, in una statua, in un’istallazione o altro, ciò che vuole. È questa la grande libertà della fruizione. Questa la potenza dell’arte.


1 commento:

  1. Ironica e appassionata.mi piace leggere quando scrivi di arte.continua così.libera da vincoli e scelte editoriali.un abbraccio da Serena T.

    RispondiElimina