mercoledì 16 ottobre 2013

Cronaca di un naufragio.

Rosanna Gentile

Ci vuole coraggio a lasciarsi alle spalle la propria terra. Anche se a volte il coraggio è semplicemente necessità. 
Noi non possiamo veramente comprendere, perché ancora non si è toccato il fondo; perché, comunque sia, un pezzo di pane lo troveremo sempre; perché in strada, da noi privilegiati, non c’è il pericolo di morire sparati da un vicino disperato o spegnersi per una lunga ed eterna guerra che si chiama fame

No, non è vita una vita fatta di miseria e di polvere.

Incertezza. Quanta incertezza nei cuori di quelle persone, quando ponderano la possibilità di dare una svolta alle proprie esistenze, perché nutrono il diritto, o meglio il sogno, di avere anche loro un posto nel mondo in cui mangiare, bere, amare, lavorare, crescere un figlio e vivere. Non è mai una scelta facile e non lo è neanche per loro. 

Perché il mare di notte può fare davvero paura 

Speranza. L'alternativa è possibilità. 
Sono certa che prima di partire qualcuno di loro ha tremato. 
È capitato anche a me, quando ho preso un aereo o una nave per un viaggio: il mio cuore ha vibrato. Perché c’è sempre un brivido di insicurezza quando si lascia la propria casa con una valigia in mano. Eppure i nostri sono viaggi diversi.

Il barcone parte. Ammassati per un tempo che sembra infinito, come oggetti in un baule, in condizioni assolutamente disumane. Nessun movimento. Solo occhi che si scrutano, cercando in uno sguardo la certezza d'aver fatto bene. 
E poi...

Qualcosa va storto: 
la folla schiaccia, il mare risucchia. 
La mamma stringe al petto il proprio bambino, chiedendogli perdono per averci provato...

A distanza di giorni, la tragedia di Lampedusa ha smesso di ripetersi in continuazione, eppure proprio oggi ho davanti agli occhi le immagini di corpi che galleggiano in mare privi di vita, senza più speranze alle quali aggrapparsi e, per molti di essi, senza neppure un nome da scrivere sulla bara. 

Fa male vedere un simile ridursi così: come si può non soffrire di fronte a quelle scene o al ricordo di esse? Ma soprattutto, come si può dire “stupidi loro che continuano a viaggiare in quelle condizioni”? 

In questi giorni ne ho sentite e lette di tutti i colori, da gente di cultura ed estrazione sociale differente. 

Troppo facile giudicare dal comodo divano di casa con un telecomando in mano, che ci dà il potere di cambiare canale e girare la faccia. 

Sono arrabbiata perché molti in cuor proprio pensano che quella gente non aveva alcun diritto a cercare riparo in un nuovo mondo. Nessuno si concentra sulla casualità della vita, che ha spinto una famiglia a impiantarsi in un luogo piuttosto che altrove, generando generazioni di gente che casualmente calpestano una terra piuttosto che un'altra. 

Ognuno è libero di pensarla come gli pare, sia chiaro, purché sia un pensiero cosciente, ragionato e basato sulle coordinate di umanità e uguaglianza, che dovrebbero guidare i nostri pensieri verso un senso di appartenenza fatto di sangue e ossa. 

In fondo, siamo tutti fratelli, nel senso più laico del termine, perché ospiti della stessa Terra, che ancora ci sopporta.

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